Secondo obiettivo della vacanza in Bolivia e certamente il più difficile delle due montagne in programma. Siamo solo io e mio padre, gli altri del gruppo hanno rinunciato per il più facile vulcano Parinacota. Abbiamo una guida di eccezione, Bernardo Guarachi una vera e propria icona dell’alpinismo Boliviano.
Già solo il viaggio per arrivare alla montagna è un avventura: 4 ore di jeep su e giù per diverse valli con strade a volte strapiombanti e ovviamente cigli non protetti. Arriviamo al villaggio di Pinaya (3880m) dove Bernando comincia a reclutare portatori e muli e a dividere i carichi. Noi iniziamo a salire verso il campo base con il nostro misero zainetto e, come al solito, ci sentiamo terribilmente in colpa anche se, per i portatori, è tutto lavoro. Dal villaggio l’Illimani sembra ancora più grande e la cima ancora più lontana: ci fa sentire piccolissimi.
La salita al campo base è molto semplice e dura circa due ore e mezza. Non ci sentiamo benissimo, le gambe sono molli dopo la salita al Potosí, ma confidiamo in una rapida ripresa il giorno dopo. Arriviamo tardi al campo base situato in una bellissima radura a 4400m: montiamo in fretta le tende e prepariamo qualcosa da mangiare prima che cali il sole e arrivi il freddo. L’inverno Boliviano è così: di giorno puoi stare in maglietta ma, appena il sole tramonta, la temperatura precipita e al mattino ti svegli sottozero. Purtroppo il campo base è insolitamente affollato, abbiamo scelto l’unico giorno con più di una spedizione.
Dormiamo come dei ghiri e ci svegliamo riposati pronti per la salita al campo alto. La prima parte della salita è regolare e troviamo subito il passo: superata la bellissima morena gialla arriviamo in due ore al passo; Bernando ci fa i complimenti, siamo sotto la tabella di marcia! Da qui il percorso si impenna e risale lungo la cresta una dorsale rocciosa che scende direttamente dalla vetta e presenta tratti di facili arrampicata su roccia instabile.
In 4 ore e mezza siamo al Campo Degli Italiani a 5400m, 80m sotto il famoso Nido de Condores. Dormiremo qui perchè in alto non c’è posto. Posizionamo la tenda al millimetro sul filo di cresta in uno scenario mozzafiato, fuori dal caos delle altre tende, a picco sul precipizio. Siamo arrivati presto, ne approfittiamo per rilassarci al sole e preparare i materiali per il giorno dopo. Stiamo bene, ormai siamo ben acclimatati. Dopo una buonissima zuppa ci infiliamo nei sacchi a pelo mettendo dentro anche gli scarponi per partire con i piedi caldi.
Sveglia alle 2, veloce colazione e siamo pronti a partire sotto una luna che illumina a giorno la montagna. Fa caldo e non c’è vento, anche oggi siamo fortunati. I primi 80m per raggiungere il Nido De Condores ammazzano il fiato: non c’è un vero e proprio sentiero si arrampica su tratti di secondo grado massimo ma che non danno ritmo. Arrivati al campo calziamo i ramponi insieme all’ultimo gruppo rimasto. Finalmente siamo sulla neve ma la sostanza non cambia: la salita è da subito ripidissima con tratti a 40° e non aiuta a prendere il ritmo.
Dopo questa “sparata” un traverso leggermente esposto ma in piano ci fa rifiatare. Subito dopo la salita riprende con pendenze sostenute e un lungo compo di penitentes rende difficoltosa la progressione; Bernardo continua nella sua politica aggressiva con il motto “1 ora e poi sosta!”. Purtroppo ho i piedi freddi, gli scaldapiedi chimici però fanno il loro lavoro e riesco ancora a muovere le dita.
Vediamo la cresta ma proprio in quel momento inizia il tratto più ripido. Quest’anno è in ottime condizioni, e viene reso più agevole da due tornanti che tagliano il pendio di 45°. Il silenzio della notte è interrotto soltanto dagli aerei che passano sopra la vetta diretti a Santa Cruz: sono incredibilmente vicini e questo ci fa rendere conto di quanto siamo alti!
Ci sentiamo bene, io e mio papà ci guardiamo negli occhi e capiamo subito. che ce l’avremmo fatta. Superiamo un piccolo seracco e finalmente vediamo la cresta finale mentre l’ombra della montagna si proietta sull’altipiano boliviano: uno spettacolo che non dimenticherò mai! Abbiamo recuperato tutte le cordate partite dal Nido De Condores: iniziamo tutti insieme a percorrere la facile cresta finale.
Qui a 6200m per la prima volta sento il “muro dell’alta quota”: riesco a fare solo pochi passi prima di fermarmi e riprendere fiato. L’ultimo pezzo sembra non finire mai, ma pian pianino raggiungiamo prima l’anticima e poi, tramita un breve cresta, la cima vera e propria. Siamo in cima all’Illimani 6438m! Ci abbracciamo, consci di aver salito una montagna importante. Guardiamo l’orologio: 5h e mezza un tempo di notevole rispetto!
Foto di rito e quindi inziamo subito la discesa, certamente più delicata della salita visto che i pendii sono sempre ripidi e una scivolata avrebbe ben pochi margini di recupero. In 3 ore siamo di nuovo al campo avanzato, ma non è finita qui: dobbiamo tornare al campo base per un totale di 2000m di discesa. Stanchissimi ma soddisfatti ci buttiamo a terra sotto il tiepido sole del campo base festeggiando insieme a Bernardo con una bella birra. Il programma è quello di dormire qui un’ultima notte e quindi rientrare a La Paz il giorno dopo.
Che dire, uno sogno che si è realizzato! È una salita certamente più complessa del Potosí sia fisicamente che tecnicamente. Nelle nostre condizioni la valuterei PD (45° max) ma può complicarsi notevolmente a seconda delle condizioni del ghiacciaio fino a richiedere l’utilizzo di due picozze. È anche una salita molto più fredda: essendo esposta a ovest il sole non appare fino all’arrivo in cresta. Abbiamo trovato una giornata calda, ma in condizioni normali, a mio avviso, uno scarpone con scarpetta interna è necessario e, ovviamente un piumino pesante.